La consulenza in materia di investimenti e l’ufficio studi: perché sono importanti
Nell’ottica della consulenza in materia di investimenti su base indipendente, l’ufficio studi è il cuore della società.
Ha il compito di supportare i Consulenti Finanziari Autonomi (CFA) appartenenti alla rete ed i loro clienti e svolge un’attività principalmente incentrata sullo studio, ricerca, selezione e monitoraggio degli strumenti finanziari e sul controllo dei portafogli.
Cosa si intende per consulenza in materia di investimenti?
Ai sensi della Mifid II, la consulenza in materia di investimenti consiste nella prestazione di raccomandazioni personalizzate ad un cliente, dietro sua richiesta o per iniziativa dell’impresa di investimento, riguardo ad una o più operazioni relative a strumenti finanziari.
Tale formulazione è ripresa tale e quale dal nostro Testo Unico della Finanza.
La direttiva Mifid II, al fine di tutelare al massimo il risparmiatore, stabilisce che quest’ultimo sia informato, prima della prestazione del servizio, se la consulenza è fornita su base indipendente o meno.
Come a dire: l’investitore, fin dal primo contatto con il consulente, deve essere messo nelle condizioni di sapere se verrà consigliato ed assistito da una persona che farà il suo interesse.
Oppure no.
Se si presta consulenza indipendente, è necessario valutare una congrua gamma di strumenti finanziari disponibili sul mercato.
Tali strumenti devono essere sufficientemente diversificati in termini di tipologia ed emittenti. E ciò al precipuo fine di “garantire che gli obiettivi di investimento del cliente siano opportunamente soddisfatti e non siano limitati agli strumenti finanziari emessi o forniti”.
Cosa evidentemente non richiesta per la prestazione della consulenza finanziaria su base non indipendente.
La consulenza finanziaria indipendente
Un mero aggettivo può davvero fare differenza?
Bionda o mora? Alta o bassa? Magra o grassa? Che differenza c’è?
È solo ed esclusivamente un’ottusa questione di gusti.
Bella o brutta?
Già su questo, se ne potrebbe discutere. Eppure, resta una questione totalmente soggettiva. E quindi, oggettivamente e da un punto di vista sostanziale, non c’è alcuna differenza.
E, invece, tra il giorno e la notte? Tra la luce e l’oscurità?
E non mi venite a dire che in Islanda, d’estate, ci sono oltre 20 ore di sole. Perché d’inverno, tutta quella luce viene compensata da 20 ore di buio.
Alcune coppie di contrari sono davvero tali.
Così è per la differenza tra indipendenza e dipendenza. Un giudizio indipendente è l’antitesi di una valutazione non compiuta in totale autonomia e libertà.
Insomma, la differenza non sta solo nell’aggettivo in sé, ma nelle modalità di effettiva realizzazione di quel requisito di indipendenza.
Da un lato, i consulenti finanziari indipendenti e le SCF, personificate dai componenti del loro ufficio studi, devono estrapolare dall’intero mondo investibile gli strumenti efficienti ed adeguati per ogni singolo loro cliente.
È richiesta però un’ulteriore condizione affinché la consulenza possa definirsi davvero “indipendente”.
CFA e SCF non possono, nella maniera più assoluta, ricevere onorari, commissioni o altri benefici monetari da soggetti terzi.
In altri termini, mai potrebbero venire remunerati dai gestori dei prodotti finanziari che raccomandano ai clienti. Nemmeno in parte. Nemmeno un pochettino. Niente di niente.
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La consulenza in materia di investimenti non indipendente
Dall’altro lato, agli intermediari è sufficiente scegliere fra quel paio di strumenti da loro stessi emessi o forniti da emittenti con i quali abbiano stretto un accordo. E che spesso e volentieri appartengono al medesimo gruppo bancario.
In pratica funziona così: gli emittenti strumenti finanziari (ad esempio le Società di Gestione del Risparmio che gestiscono a monte i fondi comuni di investimento), si accordano con uno o più intermediari affinché questi ultimi promuovano e vendano presso la loro clientela i prodotti emessi. In cambio di questo servizio di collocamento, gli emittenti girano agli intermediari distributori parte delle commissioni pagate dai clienti per la sottoscrizione dei prodotti.
Si parla di “retrocessione”.
Agli intermediari, e quindi ai loro dipendenti e promotori finanziari, viene retrocessa una percentuale delle commissioni pagate dall’investitore.
Ed è la tradizionale modalità di remunerazione della rete bancaria.
La percentuale delle varie commissioni pagate dagli investitori e retrocessa dagli emittenti agli intermediari collocatori è indicata nella Parte II dei Prospetti d’Offerta dei fondi.
Nel caso rappresentato dall’immagine che segue, il distributore viene remunerato tramite la commissione di collocamento e quella di gestione. La prima è una sorta di commissione di ingresso spalmata sui primi anni dell’investimento ed eventualmente recuperata dal gestore tramite una proporzionale commissione di rimborso, mentre la commissione di gestione è il compenso pagato per l’attività di gestione del fondo.
Si arriverà mai al divieto di retrocessioni?
Dal 2013 sia nel Regno Unito sia nei Paesi Bassi vige il divieto di retrocessioni.
Questo quanto pensa la Consob olandese:
“il divieto di incentivi incoraggia la distribuzione di prodotti di investimento più convenienti ai consumatori, riduce i conflitti di interesse per i consulenti e aumenta la concorrenza tra i produttori di prodotti a vantaggio dei consumatori”.
Mi sembra abbastanza intuitivo.
Eppure l’ESMA (l’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati) ritiene, e probabilmente con una certa ragionevolezza, che estendere un simile divieto hic et simpliciter a tutti gli Stati membri rischierebbe in fin dei conti di danneggiare i risparmiatori.
In particolare giustifica la scelta nel seguente modo:
“Nel caso degli Stati membri con modelli distributivi incentrati sulle banche, vi è il rischio che, a causa della perdita degli incentivi a vendere prodotti di terzi, le banche possano reagire aumentando i modelli ad architettura chiusa. In effetti, i divieti di incentivo potrebbero essere “aggirati” dalle imprese attraverso “pratiche di integrazione verticale” tra banche e gestori patrimoniali e solo i prodotti del gruppo potrebbero essere offerti ai clienti finali”.
Insomma, si andrebbe ad accentuare ed aggravare ancor di più la situazione attuale.
E chi ci rimetterà? Come al solito, sempre e solo l’investitore finale.
Per ora il divieto di retrocessioni vige solo per CFA e SCF
L’opzione della Mifid II, di escludere questa forma di retribuzione per coloro che prestano consulenza su base indipendente, è allora più che agevole da comprendere. Se si vuole tutelare il risparmiatore non c’è alternativa.
L’indipendenza non può essere garantita, nemmeno di fronte alla buona fede ed alla professionalità più autentica, se colui che raccomanda un prodotto riceve una ricompensa da chi quel prodotto stesso ha messo in circolazione.
Il conflitto di interessi colerebbe da ogni dove. E ci sarebbe una puzza di marcio insopportabile.
Ma, per la verità, non serve nemmeno porsi il problema.
Per i CFA e le SCF è posto il divieto assoluto di ricevere qualsiasi forma di remunerazione da un soggetto diverso dal cliente. Il consulente autonomo e la società di consulenza finanziaria sono entrambi pagati solo ed esclusivamente tramite la parcella direttamente corrisposta dal cliente.
Punto e basta.
Che cos’è una raccomandazione di investimento personalizzata?
La consulenza in materia di investimenti consiste nella prestazione di consigli specifici e personalizzati al cliente in ordine a determinate operazioni relative ad uno o più strumenti finanziari. Queste operazioni, previa rigorosa analisi dei costi e benefici, potrebbero ad esempio consistere nel comprare, vendere, sottoscrivere, scambiare, riscattare o detenere uno strumento.
La direttiva europea che reca le modalità di esecuzione della Mifid II, pone l’accento sul requisito della personalizzazione.
In particolare, una raccomandazione è personalizzata se viene fatta ad una persona nella sua qualità di investitore o potenziale investitore. Essa, poi, deve essere adatta per tale soggetto, o deve essere basata sulla considerazione delle sue caratteristiche specifiche.
Al contrario, una raccomandazione non è personalizzata, se viene diffusa esclusivamente tramite canali di distribuzione o se è destinata al pubblico, indistintamente inteso. Evidentemente se è generica e si conforma alla massa, non può essere individualizzata.
D’altronde, “personalizzare”, secondo l’Istituto Treccani, significa:
“Conferire carattere personale, adattare all’aspetto, al carattere, all’attività, alle esigenze o necessità, ai gusti di una persona, ciò che altrimenti sarebbe comune o tradizionale, convenzionale, standardizzato”.
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La valutazione di adeguatezza nella consulenza in materia di investimenti
Poiché il portafoglio di ciascun cliente, risultante dall’esecuzione delle raccomandazioni a lui prestate dal consulente, non può che essere personalizzato, il servizio di consulenza in materia di investimenti deve essere erogato previa valutazione di adeguatezza. Sta proprio in ciò il fatto che la raccomandazione di investimento deve essere adatta al cliente ovvero basarsi sulla considerazione delle sue precise caratteristiche.
Insomma, non ogni operazione di investimento può essere raccomandata.
Al fine di emettere una raccomandazione di investimento, infatti, è rigorosamente necessario che essa sia adeguata, altrimenti verrebbe meno lo stesso carattere imprescindibile di “personalizzazione”.
In particolare, possono essere raccomandati esclusivamente investimenti che risultino:
- di natura tale per cui il cliente possieda la necessaria esperienza e conoscenza per comprenderne i rischi;
- di natura tale per cui il cliente sia finanziariamente in grado di sopportare qualsiasi rischio connesso all’investimento stesso, compatibilmente con i suoi obiettivi;
- corrispondenti agli obiettivi di investimento del cliente.
Le informazioni necessarie per la valutazione di adeguatezza
Per effettuare la valutazione di adeguatezza, il consulente deve allora ottenere dal cliente una serie di informazioni. Sulla base di esse, egli sarà in grado di raccomandare l’operazione che si palesi adeguata rispetto alla specifica situazione del suo destinatario.
Innanzitutto, il cliente deve fornire informazioni in merito alla sua conoscenza ed esperienza in materia di investimenti, riguardo al tipo specifico di strumento o di servizio. Se pertinente, saranno necessarie anche informazioni circa l’istruzione e la professione.
In secondo luogo, il consulente dovrà valutare la situazione finanziaria del proprio cliente. Analizzerà, ad esempio, la fonte e la consistenza del reddito, la composizione patrimoniale, come anche eventuali passività in essere. Su questa base potrà essere stimata la capacità di sostenere perdite.
Infine, ma non per importanza, il consulente finanziario avrà l’obbligo di comprendere le finalità e gli obiettivi di investimento del cliente ed il loro relativo orizzonte temporale. È inclusa ovviamente l’attenta valutazione della tolleranza al rischio.
Chi può prestare consulenza in materia di investimenti?
Qualsiasi servizio di investimento, tra cui quindi la consulenza finanziaria, può essere svolta dalle imprese di investimento (SIM) e dalle banche. Queste ultime operano, in particolare, tramite i loro dipendenti ed i consulenti finanziari abilitati all’offerta fuori sede.
I consulenti finanziari abilitati all’offerta fuori sede sono coloro che venivano chiamati promotori finanziari. Dal 2016 parevo brutto continuare a chiamarli così, non ne sono però state modificate le funzioni.
In seguito all’istituzione dell’Albo unico dei Consulenti Finanziari, si è attuata la possibilità di erogare consulenza in materia di investimenti anche al di fuori del sistema bancocentrico. A dire, su base indipendente.
Sia le persone fisiche sia le società, in possesso dei requisiti di professionalità, onorabilità, indipendenza e patrimoniali, possono prestare la consulenza in materia di investimenti, relativamente a valori mobiliari e a quote di organismi di investimento collettivo, senza detenere fondi o titoli appartenenti ai clienti.
Si parla, nel primo caso, di Consulenti Finanziari Autonomi; nel secondo caso di Società di Consulenza Finanziaria.
Che cos’è l’ufficio studi?
Una Società di Consulenza Finanziaria può essere immaginata come il sistema cardiovascolare umano. Il cuore pompa il sangue attraverso i vasi sanguigni permettendo così di distribuire all’organismo ossigeno e nutrienti ed eliminando, invece, le sostanze di scarto.
L’ufficio studi è il cuore, mentre la rete di consulenti finanziari autonomi è rappresentabile dall’insieme dei vasi sanguigni.
Senza l’uno e senza gli altri, il sangue non potrebbe circolare. E l’organismo avrebbe vita breve.
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Cosa fa l’ufficio studi di una SCF?
L’ufficio studi ha una varietà di compiti, di centrale importanza, il cui espletamento facilita l’attività dei singoli consulenti della rete.
Si è già accennato che chi presta consulenza in materia di investimenti su base indipendente, deve di necessità valutare una congrua gamma di strumenti.
L’attività di ricerca, selezione e comparazione a ciò finalizzata è effettuata dai componenti dell’ufficio studi. Questi ultimi analizzano e valutano gli innumerevoli strumenti finanziari disponibili, confrontandoli sulla base del loro rischio, dei costi, delle performance passate e della loro complessità.
Da questa faticosa e maniacale ricerca, potranno uscirne indenni solamente gli strumenti considerabili efficienti. Tra i vari parametri che l’ufficio studi deve considerare per poter etichettare uno strumento finanziario come efficiente, sono i costi.
I costi devono essere bassi
Supponi di investire 10.000 euro per dieci anni con un ritorno medio annuo dell’8%.
Su quest’arco arco temporale e a tali condizioni, potresti ottenere 21.589 euro, al lordo della tassazione ed in assenza di qualsivoglia commissione.
Questo stesso investimento, se ti venisse applicata una commissione dell’1%, lascerebbe per strada 2.000 euro.
Una commissione del 2%, invece, brucerebbe quasi 4.000 euro.
Infine, con un costo annuo del 3%, e non sono pochi i fondi e le gestioni patrimoniali che pure lo superano, otterresti 16.288 euro, rinunciando così a oltre 5.000 euro.
La qualità deve essere alta
La ricerca si dirige, di conseguenza, verso strumenti economici, ma non scadenti. Un costo alto si giustificherebbe solo a fronte di una qualità gestoria elevata. Ma così spesso non è.
Dall’ultima ricerca SPIVA, che compara le performance dei fondi gestiti attivamente rispetto ai relativi indici di riferimento su differenti orizzonti temporali, non emerge un dato rassicurante.
Su un arco temporale di dieci anni, mediamente meno del 10% dei fondi attivi riesce a battere il rispettivo benchmark.
Insomma, per avere di meno, si deve spendere di più.
Gli ETF, è chiaro, non vanno scelti tutti solo perché per nomea sono strumenti più efficienti dei fondi comuni di investimenti. Nemmeno perché la maggior parte di essi costano praticamente zero. L’ufficio studi seleziona analiticamente il meglio del meglio e scarta le porcherie.
Ci sono tanti strumenti finanziari lì fuori: tra ETF e fondi comuni aperti acquistabili dagli investitori retail, se ne contano circa 33 mila.
La selezione delle azioni, poi, si basa su rigorose analisi di natura fondamentale e tecnica.
L’ufficio studi non ha chiaramente alcun potere predittivo, semplicemente sceglie i titoli che presentano una situazione finanziaria e patrimoniale solida e che abbiano margini di crescita. A livello tecnico, il trend dev’essere ben definito e dimostrare un’ottima forza relativa.
Nemmeno certificati, obbligazioni e conti deposito sfuggono alle valutazioni dell’ufficio studi. Nel primo caso va escluso tutto ciò che è complesso, e quindi la maggior parte, restando in sostanza valutabili solo alcuni certificati benchmark. Negli altri due casi, l’analisi si baserà principalmente sulla solidità dell’emittente e della banca nonché sulla redditività netta.
Insomma, a fronte di uno 0,20% annuo, non servirebbe nemmeno scomodare l’inflazione: basta l’imposta di bollo a vanificare l’investimento.
Consulenza in materia di investimenti: l’invio delle raccomandazioni
L’ufficio studi di una SCF, tra le altre cose, è deputato all’invio delle raccomandazioni di investimento.
Una volta ricevuta la proposta di investimento elaborata dai Consulenti Finanziari Autonomi che seguono attivamente i loro clienti, l’ufficio controlla innanzitutto il rispetto delle regole base di allocazione, di gestione del capitale e di composizione del portafoglio.
La discrezionalità dei consulenti nelle scelte di investimento non è certo castrata in radice. Possono anche decidere di raccomandare uno strumento non selezionato dall’ufficio studi, in comune accordo con esso.
Questo potere decisionale deve però sempre esplicarsi all’interno di binari predeterminati sulla base del buon senso.
A nessun nostro cliente potrà essere raccomandato uno strumento a leva o short, oppure un investimento illiquido, obbligazioni denominate in valute emergenti dai rendimenti apparentemente elevatissimi o altre bizzarrie.
I nostri consulenti lo sanno, non sono gestori né trader né soffrono di manie di protagonismo. Loro sono dei bravi consulenti finanziari indipendenti ed il protagonista è e resta il cliente.
Verificata l’osservanza di poche e semplici regole, le operazioni proposte dal consulente indipendente, prima di essere raccomandate, dovranno risultare adeguate per il cliente.
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L’adeguatezza della consulenza e degli strumenti: una tutela per l’investitore
Il nostro software consente l’invio della raccomandazione d’investimento direttamente al cliente, previo controllo dell’adeguatezza. Ogni consiglio non in linea con il profilo del suo destinatario, è destinato ad essere bloccato.
Se, ad esempio, il cliente non conoscesse il funzionamento delle azioni, un’eventuale raccomandazione di acquisto di tale strumento non sarebbe inoltrabile.
Nel caso, poi, nel portafoglio del cliente fosse già presente uno strumento del quale non ha sufficiente conoscenza, l’unica alternativa per superare la valutazione Mifid è raccomandarne la vendita.
E questo capita spesso, quando a noi si rivolge un cliente già titolare di un portafoglio bancario.
Eppure ancora non riesco a spiegarmene il motivo. La valutazione di adeguatezza, infatti, non è una prerogativa della sola consulenza in materia di investimenti su base indipendente, ma in generale della consulenza finanziaria. Chissà.
In ogni caso, non servirebbero nemmeno sofisticati algoritmi per sentenziare la non adeguatezza di un consiglio.
I consulenti autonomi, nel costruire il portafoglio di investimento del cliente avranno sempre come punto di riferimento il cliente stesso. La scelta, di conseguenza, ricadrà solamente su strumenti in linea con i suoi obiettivi, il suo orizzonte temporale ed il suo profilo di rischio.
Un controllo in più comunque non guasta mai.
Una volta che il cliente esegue materialmente il consiglio tramite il proprio intermediario, l’ufficio studi inserirà nel software le informazioni relative all’esecuzione degli ordini al fine di monitorare il portafoglio di investimento nel tempo.
La fisionomia dell’ufficio studi
Ora, non si può dire che queste funzioni esauriscano i compiti dell’ufficio studi, ma ne delineano la fisionomia.
La similitudine con il sistema cardiovascolare resta intatta: l’ufficio studi ne è il cuore ed i consulenti finanziari autonomi i vasi sanguigni. Non vi è alcuna gerarchia: mancasse l’uno o mancassero gli altri, il sangue non circolerebbe.
Il sistema nel suo complesso si chiama Società di Consulenza Finanziaria ed ha un obiettivo gigantesco e virtuoso: aiutare gli investitori a slegarsi dal sistema bancocentrico, tutelarli e supportarli nelle scelte patrimoniali della loro vita.
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