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Contributi minimi per andare in pensione, quanti ne servono?

Per andare in pensione serve un requisito essenziale, ovvero aver maturato una sufficiente anzianità contributiva.

Per quanto possa suonare strano, l’anzianità contributiva è un requisito ben più importante dell’età anagrafica

Non esistono, infatti, opzioni di pensionamento che non richiedano un numero minimo anni contributi per pensione .

Si possono trovare opzioni che consentano di andare in pensione indipendentemente dall’età anagrafica.

Ma in ognuna di esse l’anzianità contributiva è un requisito necessario sempre richiesto.

Senza aver raggiunto i contributi minimi previsti dalla legge, dunque, non si può andare in pensione.

Gli anni di contributi minimi da versare richiesti per andare in pensione variano a seconda dell’opzione di pensionamento a cui si decide di ricorrere.

In questo articolo andremo a scoprire quanti anni di contributi minimi versati servono per andare in pensione.

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Quanti anni di contributi minimi per andare in pensione?

Per percepire la pensione di vecchiaia si richiede di soddisfare i due seguenti requisiti:

  • aver versato almeno 20 anni di contributi;
  • aver raggiunto i 67 anni di età 

Ai fini del raggiungimento dei 20 anni di contributi minimi per la pensione di vecchiaia, bisogna precisare che vale la contribuzione a qualsiasi titolo versata o accreditata in favore dell’assicurato.

Si considerano, cioè, validi alla stessa maniera nel conteggio dei 20 anni di contributi minimi i contributi da lavoro, da riscatto, figurativi ed i versamenti volontari.

E per coloro che rientrano tra i “contributivi puri”, ovverosia quei lavoratori il cui primo versamento contributivo viene dopo la riforma Dini e quindi decorra dall’1 gennaio 1996?

Il doppio requisito anagrafico e contributivo visto sopra non risulta sufficiente, ma ne è previsto addirittura un terzo.

I “contributivi puri”, infatti, per poter accedere alla pensione di vecchiaia devono soddisfare i tre seguenti requisiti:

  • aver versato almeno 20 anni di contributi;
  • aver raggiunto i 67 anni di età; 
  • l’importo della pensione maturato non deve essere inferiore a 1,5 volte l’importo dell’assegno sociale.

Per i “contributivi puri”, dunque, non è possibile ottenere la pensione di vecchiaia qualora non si soddisfi il terzo requisito.

Tuttavia, per i “contributivi puri” che abbiano raggiunto i 71 anni di età vi è la possibilità di accedere alla “pensione di vecchiaia contributiva” senza dover soddisfare il requisito dell’assegno sociale.

In tal caso, sarà possibile ottenere l’accesso al proprio assegno pensionistico a prescindere dall’importo maturato.

Quanti anni di contributi minimi servono per andare in pensione prima dei 67 anni?

La pensione anticipata consente di andare in pensione prima dei 67 anni richiesti dalla pensione di vecchiaia (da qui, il nome di “anticipata”), a condizione di aver accumulato un determinato numero di anni di contributi.

La pensione anticipata, dunque, è una prestazione previdenziale cui è possibile accedere perfezionando solo il requisito di natura contributiva e non dovendo necessariamente raggiungere una certa età pensionabile.

Quali sono i contributi minimi richiesti da versare per accedere alla pensione anticipata?

I contributi minimi richiesti sono di: 42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini, a prescindere dall’età anagrafica; 41 anni e 10 mesi di contributi per le donne, a prescindere dall’età anagrafica. Dunque, a differenza della pensione di vecchiaia esiste in questo caso una differenza nei requisiti tra i due sessi.

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Contributi per la pensione: la pensione anticipata contributiva

Inoltre, per i “contributivi puri”, è possibile esercitare un’ulteriore opzione rappresentata dalla “pensione anticipata contributiva”.

Oltre a poter ottenere la pensione al perfezionamento dell’anzianità contributiva vista sopra dei 42 anni e 10 mesi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne, i lavoratori che hanno aperto la propria posizione contributiva dopo il 31 dicembre 1995 hanno la possibilità di ottenere il trattamento anticipato al compimento dei 64 anni di età.

I “contributivi puri”, infatti, per poter accedere alla “pensione anticipata contributiva” devono soddisfare i seguenti tre requisiti:

  • aver raggiunto i 64 anni di età;
  • almeno 20 anni di contributi effettivi accreditati (ai fini del computo si considerano validi i soli contributi obbligatori, volontari o da riscatto, mentre non vengono calcolati i contributi accreditati figurativamente per disoccupazione, malattia e/o prestazioni equivalenti);
  • aver maturato un assegno pensionistico mensile di importo pari o superiore a 2,8 volte quello dell’assegno sociale.

Posto che non risulta mai banale calcolare se siano stati soddisfatti i requisiti necessari visti sopra, resta importante approfondire il tema per la propria categoria. Per comprendere nel dettaglio come calcolare la pensione sulla base della tua professione, segnaliamo una lettura che potrà chiarire tutti i tuoi dubbi: guida definitiva al calcolo della pensione.

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Che pensione si prende con 20 anni di contributi?

Per conoscere l’ammontare dell’assegno pensionistico che si percepirà, bisogna prima di tutto sapere con che tipologia di calcolo verrà calcolata la pensione. Ogni lavoratore può rientrare all’interno di una delle tre tipologie di sistema di calcolo previste dall’attuale normativa italiana:

  • sistema di calcolo retributivo: per i lavoratori con almeno 18 anni di contributi maturati fino al 31 dicembre 1995;
  • sistema di calcolo misto: per i lavoratori con meno di 18 anni di contributi maturati al 31 dicembre 1995. In tal caso, per i periodi fino al 1995 si applica il calcolo retributivo, mentre per i periodi successivi al 1995 si applica il sistema contributivo;
  • sistema di calcolo contributivo: per i lavoratori assunti dopo il 1° gennaio 1996.

Bisogna sottolineare che la Riforma Fornero, entrata in vigore nel 2011, ha esteso l’applicazione del regime contributivo a tutte le anzianità maturate a decorrere dal 1 gennaio 2012.

Ciò significa che ai lavoratori con almeno 18 anni di contributi maturati fino al 31 dicembre 1995, la pensione verrà calcolata col sistema retributivo fino al 31 dicembre 2011 e col contributivo per i periodi dal 1 gennaio 2012 in poi. 

Contributi per la pensione: il metodo retributivo

Il metodo retributivo è considerato il metodo di calcolo più conveniente della pensione, perché prende in considerazione la media degli stipendi degli ultimi anni di lavoro e l’anzianità lavorativa.

L’aliquota di rendimento è pari al 2 per cento annuo per retribuzioni e redditi inferiori ai limiti fissati dalla legge o inferiore al 2 per cento per le retribuzioni e i redditi più elevati. Il calcolo dell’assegno si basa sul sistema delle due quote:

  • la quota A è calcolata sui contributi maturati fino al 31 dicembre 1992, prendendo come base la media degli ultimi 5 anni di retribuzione dei lavoratori dipendenti. Per i lavoratori autonomi si considera la media degli ultimi 10 anni di retribuzione e per i lavoratori pubblici la retribuzione dell’ultimo anno di attività;
  • la quota B è calcolata sull’anzianità contributiva maturata dal 1° gennaio 1993 al 31 dicembre 2011: si considera la media degli ultimi 10 anni di stipendio dei lavoratori dipendenti pubblici o privati e degli ultimi 15 per gli autonomi.

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Contributi per la pensione: il metodo contributivo

Con il metodo contributivo, invece, tutti i contributi maturati dal lavoratore e versati nel corso dell’intera vita lavorativa vengono rivalutati.

Questo avviene sulla base del tasso calcolato periodicamente dall’ISTAT secondo il PIL e formano il montante contributivo su cui viene calcolata la pensione.

Per conoscere l’importo dell’assegno, bisogna moltiplicare la retribuzione pensionabile annua per l’aliquota di computo.

La percentuale di retribuzione annua accantonata a fini pensionistici viene poi aggiornata con un tasso di rivalutazione annuo variabile in base alla crescita nominale del PIL degli ultimi cinque anni.

Quali tipi di contributi sono necessari per andare in pensione?

Tutti i contributi versati concorrono a determinare l’ammontare della pensione, attraverso il coefficiente di trasformazione, ossia un valore percentuale che viene aggiornato ogni due anni e che cresce in base all’età di pensionamento. L’aver versato 20 anni di contributi, di per sé, non definisce l’appartenenza al regime contributivo piuttosto che al retributivo.

Infatti, come visto sopra, piuttosto risulta importante capire quanti anni di contributi sono stati versati prima del 1995.

Altro aspetto da tenere a mente è la gestione Inps o la cassa professionale di appartenenza.

Per ogni gestione Inps e Cassa professionale vigono regole specifiche che definiscono se il calcolo debba avvenire in regime contributivo o retributivo.

Pertanto, al fine di calcolare in maniera corretta l’assegno pensionistico che si andrà a percepire si consiglia di avvalersi di un consulente previdenziale e di richiedere una consulenza per la pensione.

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Chi ha versato pochi contributi può avere pensione?

Molte persone non riescono nell’arco della loro vita lavorativa a versare almeno 20 anni di contributi, ovverosia quelli minimi richiesti per accedere alle pensioni di vecchiaia e anticipata.

Tuttavia, esistono due casistiche che consentono ai lavoratori di andare in pensione con meno di 20 anni di contributi.

Il primo caso riguarda i cosiddetti “quindicenni”, ovverosia quei lavoratori che possono conseguire la pensione di vecchiaia con soli 15 anni di contributi.

Rientrano nel novero dei “quindicenni” tutti quei lavoratori che corrispondano ad uno dei seguenti quattro profili:

  • coloro che hanno perfezionato 15 anni di contributi entro il 31 dicembre 1992;
  • lavoratori autorizzati alla prosecuzione volontaria della contribuzione prima del 31 dicembre 1992 (indipendentemente dalla circostanza di aver versato o meno contributi volontari);
  • lavoratori dipendenti che possono far valere un’anzianità assicurativa di almeno 25 anni e risultano occupati per almeno 10 anni (anche non consecutivi) per periodi di durata inferiore a 52 settimane nell’anno solare;
  • lavoratori che al 31/12/1992 hanno maturato un’anzianità contributiva tale che, pur se incrementata dei periodi intercorrenti tra il 1° gennaio 1993 e la fine del mese di compimento dell’età pensionabile, non raggiungerebbero il requisito contributivo richiesto in quel momento.

Chi ha pochi contributi può avere pensione? Focus sui contributivi puri

La seconda casistica, invece, riguarda i “contributivi puri”.

Per questi lavoratori è possibile accedere alla “pensione di vecchiaia contributiva” al ricorrere dei due seguenti requisiti:

  • aver raggiunto i 71 anni di età;
  • aver versato 5 anni di contributi.

Ai fini del calcolo di questi 5 anni di contribuzione si conteggia solo la contribuzione effettivamente versata (obbligatoria, volontaria, da riscatto)

Si esclude quella accreditata figurativamente a qualsiasi titolo.

Come si può intuire da quanto letto sopra, non risulta per niente banale capire e calcolare se siano stati soddisfatti i requisiti necessari per percepire la pensione.

Se vuoi sapere con esattezza se rientri nelle casistiche che ti consentono di andare in pensione con meno di 20 anni di contributi minimi richiesti, richiedi una consulenza per la pensione.

pensione

 

Quanti anni di contributi per avere la pensione minima?

La pensione minima nasce in Italia con la legge 638/1983 ed indica la pensione che si ha il diritto di ricevere al fine di poter condurre una vita dignitosa.

I destinatari sono i soggetti che percepiscono  pensioni molto basse, di importi mensili inferiori rispetto ai limiti che sono stati fissati dalla legge.

Questi possono usufruire del trattamento previdenziale che viene erogato dall’INPS.

A quanto ammonta la pensione minima?

L’importo relativo al trattamento minimo INPS varia di anno in anno, poiché è direttamente collegato alla variazione dell’indice ISTAT che mette in relazione la soglia minima e il costo della vita. Tutti coloro che si ritrovano in pensione, ma hanno a propria disposizione una cifra inferiore al limite attuale, riceveranno dall’INPS un assegno integrativo in modo tale da raggiungere la soglia minima prevista dalla pensione minima INPS.

Il calcolo dell’importo dipende dal proprio reddito e dallo stato personale (ovverosia se si è single o coniugati).

Nel 2023, come previsto dalla Legge di Bilancio 2023, la pensione minima mensile cresce dai 525,38 euro (pensione minima nel 2022) ai 563,73 euro, con un aumento totale mensile di 38,35 euro.

Il totale annuale, invece, della pensione minima nel 2023 è pari a 7.328,49 euro. 

Chi ha una pensione inferiore a 563,73 euro mensili, dunque, potrà ricevere l’integrazione per raggiungere tale importo se almeno una parte della sua pensione è stata calcolata con il sistema retributivo.

L’integrazione al trattamento minimo, infatti, non è prevista per i “contributivi puri”, ovvero per chi ha iniziato a versare i contributi dopo il 1° gennaio 1996.

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Pensioni integrabili al minimo

Tra le pensioni che possono essere integrate al minimo vi rientrano:

  • la pensione di vecchiaia;
  • le pensione anticipata di anzianità;
  • la pensione di reversibilità;
  • la pensione ai superstiti.

Non sono, invece, incluse le pensioni interamente calcolate con il sistema contributivo, fatta eccezione per Opzione donna.

La pensione minima INPS non è vincolata né al numero di anni minimi di contributi versati né al lavoro svolto prima di andare in pensione.

L’integrazione al trattamento minimo si riceve se si è titolari di pensione e se, allo stesso tempo, non si raggiungono i valori minimi (563,73 euro) che sono stati fissati dalla legge.

Si prescinde dal numero di anni di contributi versati.

Chi non ha mai versato contributi e, dunque, non riceve nessuna pensione, non ha diritto all’integrazione al trattamento minimo, ma avrà diritto all’assegno sociale.

Chi non ha contributi può avere pensione?

In Italia non è possibile percepire una pensione, se non si è versato i contributi minimi previsti dalla normativa in vigore.

Tuttavia, anche alle persone che non abbiano mai versato contributi, l’INPS riconosce comunque un assegno mensile.

In questi casi non si parla di pensione, bensì di assegno sociale: esso, infatti, è un trattamento di tipo assistenziale (non previdenziale).

Infatti l’INPS eroga questo contributo a chi ha raggiunto i 67 anni di età è riservato a coloro che si trovano in condizioni di difficoltà economica. 

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L’assegno sociale è il trattamento pensato dal legislatore per coloro che non hanno versato contributi, o non lo hanno fatto in modo sufficiente per maturare una pensione. I requisiti richiesti per avere diritto all’assegno sociale sono i seguenti:

  • avere residenza effettiva in Italia da almeno 10 anni;
  • avere cittadinanza italiana o comunitaria;
  • aver compiuto 67 anni di età;
  • avere un reddito non superiore a 6.542,51 euro (nel caso di persona non coniugata) oppure di 13.085,02 euro (nel caso di persone coniugate).

Inoltre, con gli stessi requisiti previsti per l’assegno sociale, le donne possono avere accesso alla pensione casalinghe, versata dall’omonimo fondo INPS alle donne che non hanno contributi da lavoro. 

Al Fondo Casalinghe si possono iscrivere sia donne che uomini e bisogna versare autonomamente i contributi, autofinanziandosi la pensione con circa 310 euro l’anno.

Conclusioni sui contributi minimi per andare in pensione

Il quadro normativo italiano relativo alle pensioni è molto variegato.

Questo rende spesso difficile ai lavoratori capire all’interno di quale regime e tipologia di calcolo della pensione rientrino.

Non risulta banale capire con che tipologia di calcolo si calcolerà l’assegno pensionistico che si percepirà.

Altrettanto complesso è comprendere le opzioni di pensionamento che la legge italiana mette a disposizione dei lavoratori.

Ipotesi che si poggiano sulla base dei contributi minimi richiesti per andare in pensione.

Alla luce di tale complessità, per calcolare l’importo della propria pensione futura e valutare nel migliore dei modi tutte le possibili opzioni di pensionamento, si consiglia sempre ad ogni lavoratore di affidarsi ad un professionista della materia come il consulente previdenziale e di richiedere una consulenza per la pensione.

Glossario:

  • Riforma Fornero: La legge Fornero, chiamata anche semplicemente riforma Fornero, è il nome con cui viene comunemente indicato l’articolo 24 del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, intitolato “Disposizioni in materia di trattamenti pensionistici”, che, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali Elsa Fornero, ha modificato il funzionamento del sistema pensionistico italiano.
  • ISTAT: L’Istituto nazionale di statistica (conosciuto anche come Istat) è un ente pubblico di ricerca italiano che si occupa dei censimenti generali della popolazione, dei servizi e dell’industria, dell’agricoltura, di indagini campionarie sulle famiglie e di indagini economiche generali a livello nazionale.
  • Reversibilità: La reversibilità è una proprietà di un bene capitale di essere trasferibile ad altra produzione senza grave menomazione del suo valore.

 

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