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Le pensioni più ricche d’Italia e come fare per averne una

Spesso si sente parlare di pensioni d’oro, ma chi riceve queste pensioni più ricche d’Italia?

E come hanno fatto ad avere diritto ad una pensione così alta?

Ma soprattutto, come si può arrivare a risparmiare una somma tale da poter garantire una bella vita al momento della pensione?

Pensioni più ricche d'Italia

Top 5 pensionati in Italia: le pensioni più ricche d’Italia

Ecco le 5 pensioni lorde mensili più ricche d’Italia:

  1. Gambaro Mauro, 51.000 €
  2. Cartasegna Mario, 49.000 €
  3. Giordano Alberto, 42.000 €
  4. Lamberto Dini, 31.000 €
  5. Consorte Giovanni, 28.000 €

Quattro di questi pensionati sono ex dirigenti o vice presidenti di importanti aziende, che hanno semplicemente e intelligentemente seguito le regole del gioco per ricevere una pensione d’oro.

È da considerare anche il fatto che oltre i loro alti livelli all’interno di aziende o istituzioni pubbliche, queste persone hanno anche lavorato attraverso consulenze e partnership, il che ha reso il loro accantonamenti ancora più alti.

L’unica eccezione è Mario Cartasegna, che da avvocato del comune di Perugia è riuscito a far sì che ogni causa non persa venisse conteggiata come contributo pensionistico, cioè con il sistema retributivo.

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Le pensioni più ricche d’Italia: categorie di pensionati

Tuttavia le categorie che hanno in media una pensione più alta non sono all’interno del settore finanziario o delle istituzioni, ma sono professionisti molto ricercati.

Qui sotto una tabella sulle pensioni più ricche d’Italia.

Pensionati più ricchi Italia
In queste categorie sono fondamentali sia il rapporto tra pensionati e attivi sia il reddito medio e la pensione media

Qui si vedono infatti delle categorie che sorprendono per il loro alto livello di pensione attuale, ma che non potrà reggere per il lungo periodo.

Ne è l’esempio la categoria dei giornalisti, con 62 pensionati per 100 attivi, ma anche quella dei medici con 57 pensionati su 100 attivi.

Nella situazione opposta si trova la categoria dei dottori commercialisti con 11 pensionati per 100 attivi. E la cassa forense con 12 pensionati con ogni 100 attivi.

Proprio secondo il principio per il quale gli attuali lavoratori pagano le pensioni attuali, oltre al rapporto tra i professionisti e i pensionati è anche importante il reddito medio e la pensione media.

Per essere sostenibile la pensione deve infatti essere proporzionata al reddito che si percepiva. Ed è un problema, anche in questo caso, nella categoria dei giornalisti, la quale ha una pensione media solo del 15% inferiore rispetto al reddito medio degli attuali giornalisti. 

Al caso estremo abbiamo i farmacisti, i quali hanno un rapporto tra reddito/pensione quasi di 20 a 1, rendendo possibile la sostenibilità futura della pensione di categoria.

Ma è possibile che lo Stato Italiano e le categorie professionali non abbiano più i fondi per pagare le pensioni a chi ha lavorato in un determinato settore? 

Il problema deve essere affrontato sotto vari punti di vista e per farlo serve prima un breve ripasso dell’evoluzione della storia delle pensioni in Italia.

 

Pensioni più ricche d'Italia

La pensione: come era e com’è ora?

A differenza di ciò che si potrebbe pensare, per come è costruito il nostro sistema pensionistico, i lavoratori di oggi non accantonano i risparmi per poi usufruirne quando smettono di lavorare.

Il sistema pensionistico prevede infatti che i pensionati di oggi siano pagati dai lavoratori di oggi, e così i pensionati di domani, dai lavoratori di domani.

I contributi di ognuno di noi sono quindi le pensioni di chi oggi si gode il meritato riposo.

Questo trasferimento è di fatto un “patto generazionale”.

Che cos’è la Cassa nazionale di previdenza?

Il processo per arrivare alla pensione è partito dal 1898, con la creazione della Cassa nazionale di Previdenza. Essa nasce con l’esatto intento di tutelare gli operai nel periodo della vecchiaia o in caso di inabilità. Era una forma di previdenza facoltativa, alla quale si aderiva, si pagava una quota e si riceveva una rendita una volta compiuto il 60 esimo o il 65esimo anno d’età o l’eventuale inabilità.

Questa cassa era prevalentemente auto-finanziata dagli stessi appartenenti della categoria, con una minima parte di contributi dello Stato o di altri Enti.

Quando è stata introdotta la previdenza obbligatoria?

Nel 1919 avviene il passo più importante con l’obbligo alla partecipazione alla previdenza socialeGli anni precedenti avevano dimostrato una bassa partecipazione e l’obbligatorietà ha risolto questo problema. Fu prima adottata per i dipendenti pubblici e ferroviari e solo successivamente per i privati. La pensione si riceveva solo a partire dal 65esimo anno di età, sia per gli uomini sia per le donne.

I principali cambiamenti fatti sotto il ventennio fascista furono l’indennità del licenziamento, esclusivamente per gli impiegati, ma escludendo il caso delle dimissioni volontarie e per colpa. Questa indennità si trasformerà nel 1982 nel Trattamento di Fine Rapporto.

L’orario di lavoro passa da 48 ore settimanali a 40 e la “Cassa Nazionale”, CNAS, si rinomina in Istituto Nazionale per la Previdenza Sociale, che ancora oggi si chiama l’INPS.

Un ulteriore aggiunta fu l’introduzione della pensione di reversibilità, vale a dire il trasferimento dei risparmi pensionistici verso i superstiti dell’assicurato o del pensionato. L’età pensionabile è ridotta a 60 anni per gli uomini e a 65 anni per le donne. 

La forza lavoro crebbe molto in quegli anni dovuto, anche soprattutto all’aumento della popolazione, così aumentano anche i contributi pensionistici. Allora venne stabilito il maggior onere a carico del datore di lavoro, con 2/3 dei contributi a carico del datore contro 1/3 a carico del lavoratore. Poi, nel 1947 si trasformerà in 1/2 a carico del datore di lavoro, 1/4 a carico del lavoratore e 1/4 a carico dello Stato. 

Successivamente alla seconda guerra mondiale viene inserita la 13esima mensilità.

Nel 1957 vengono istituite le casse e gli enti previdenziali specifici per categoria o per albo dei professionisti.

Nel 1965 viene introdotta la pensione di anzianità, alla quale si accede con 35 anni di contributi e viene introdotta la pensione minima.

La pensione di anzianità però è un errore e per la prima volta lo Stato vede un esborso di 170 miliardi di lire in soli 3 anni.

Entra così in vigore il metodo retributivo e viene abolita la pensione di anzianità.

Nel 1973 vengono istituite le Baby Pensioni per le quali  ad una donna “coniugata con prole” dipendente pubblica è permesso andare in pensione con solo 14 anni, 6 mesi e 1 giorno di servizio.

La previdenza ha una lunga storia, ora è tempo di scrivere la tua! Scopri come gestire al meglio i tuoi contributi per ottenere di più.

Quali sono le ultime riforme pensionistiche?

Nel 1992 la “Riforma Amato” imposta un’elevazione graduale della pensione di vecchiaia da 55 a 60 anni per le donne e da 60 a 65 per gli uomini ed elimina le baby pensioni. Gli anni contributivi minimi per ricevere una pensione passano da 15 a 20. L’aumento della pensione invece è calcolato non più sul livello dei dei salari, ma sull’andamento dell’inflazione.

Nel 1995 con la “Riforma Dini” si introduce il calcolo del sistema contributivo. Per la prima volta dopo anni le pensioni iniziano a dover essere sostenute dai contributi versati dagli stessi lavoratori. Il sistema contributivo prevede una alta correlazione tra i contributi versati durante la propria vita lavorativa e la rendita pensionistica successiva. 

La riforma “Monti – Fornero” del 2011 è ancora oggi la più dibattuta perché molto restrittiva, anche per il delicato periodo storico che stava fronteggiando l’Italia, e ha di fatto creato un metodo contributivo per tutti

I principi sono di equità, di trattamento paritario tra le generazioni e questo si concretizza con l’eliminazione di privilegi a tutti tranne che alle categorie più deboli.

Viene mantenuto un certo grado di flessibilità in uscita, ma introducendo incentivi alla prosecuzione della vita lavorativa. Vengono inseriti il parametro sulla speranza di vita e vengono armonizzati  i vari sistemi di previdenza. 

Come innovazioni principali oltre al metodo contributivo per tutti c’è l’abolizione della pensione di anzianità e la nuova pensione di vecchiaia.

L’ultima riforma è stata la cosiddetta “Quota 100”. Questa ha lo scopo esplicito di abbassare e anticipare l’età pensionabile con un mix di requisiti anagrafici e contributivi, così ripartiti in 62 anni d’età e 38 anni di contributi. Più precisamente, l’anzianità contributiva deve essere di almeno 35 anni, l’età anagrafica minima è di 58 se lavoratori dipendenti e 59 se lavoratori autonomi. 

Il metodo di calcolo è di fatto ancora contributivo, ma ha permesso nei 3 anni previsti per la durata di questa legge, una piccola finestra per l’uscita anticipata che però se non sarà rifinanziata sarà stata una tantum.

Se hai voglia di scoprire proprio tutto sull’argomento previdenziale, non ti resta che leggere l’approfondimento: Pensioni e contributi INPS: ecco cosa devi sapere.

Le riforme sono state necessarie perché l’Italia ha sempre avuto una spesa pensionistica molto gravosa sui conti pubblici: ancora oggi ci classifichiamo secondi in Europa per rapporto spesa pensionistica/PIL con il 15,8% a fronte di una media UE del 12,7%; solo la Grecia fa peggio di noi!

Se avessimo la stessa spesa della media UE risparmieremmo circa 60 miliardi l’anno, una somma decisamente importante. 

Pensioni più ricche d'Italia

Queste riforme hanno effettivamente ridotto sia le somme percepite dai pensionati sia il numero di anni di pensione. Ma permettono di rendere il sistema più sostenibile per le generazioni future.

Hanno parzialmente spostato il sistema pensionistico verso il principio della capitalizzazione allontanandosi da quello della redistribuzione. Come dicevamo, i lavoratori di oggi non pagano per la propria futura pensione, ma contribuiscono a pagare le pensioni di oggi. 

L’importanza delle riforme sopracitate non finisce qui: hanno aperto la strada anche ai fondi pensione complementari.

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Ma cosa sono i fondi pensione complementari?

I fondi pensione complementari sono fondi in cui si versa il proprio Trattamento di Fine Rapporto (TFR), che vale circa una mensilità all’anno, e, volontariamente, si può anche accantonare una quota aggiuntiva.

Esistono tre tipi di fondi pensione complementari:

  • PIP
  • fondo pensione aperto
  • fondo di categoria.

Tendenzialmente i PIP sono i più costosi, il fondo aperto è accessibile da chiunque, mentre ogni fondo di categoria, proprio come dice il nome, è accessibile esclusivamente dalla propria categoria di riferimento (individuabile tramite il proprio Contratto di Lavoro Nazionale, ad esempio “Cometa” è riservato ai metalmeccanici).

Attenzione ai costi!

Possono essere dati per scontati, ma anche solo un 1/1,50% per 20 anni di lavoro può erodere il rendimento finale fino al 50%!

Come è possibile?

È sufficiente che un fondo pensione abbia una scelta degli strumenti più conservativi rispetto all’orizzonte temporale a disposizione. Ma soprattutto bisogna capire che i costi sono mancati guadagni il primo anno. E dal secondo in poi sono mancati interessi sugli interessi.

Questo è il famoso interesse composto. L’interesse dell’interesse ha la caratteristica di essere esponenziale; è una piccola palla di neve che una volta che si inizia a far rotolare dal versante della montagna si ingrandisce sempre di più.

Pensioni più ricche d'Italia

I fondi pensione hanno 3 vantaggi principali:

  • le quote versate all’interno del fondo pensione possono essere dedotte fino a 5.164€, riducendo le tasse da pagare ogni anno allo Stato;
  • i fondi di categoria (accessibili esclusivamente in base al proprio Contratto di Lavoro Nazionale) obbligano il datore di lavoro a versare un’ulteriore percentuale che varia in base alla percentuale versata dal lavoratore dipendente;
  • le tasse pagate sul fondo pensione non sono calcolate in base ai classici scaglioni IRPEF, ma sono al massimo il 15%, e possono addirittura ridursi al 9%, in base al numero di anni in cui i risparmi vengono lasciati nel fondo.

Le pensioni più ricche d’Italia: cosa posso fare io?

Con queste informazioni non ti assicuriamo una pensione d’oro come i TOP 5, ma queste sono alcune dritte per iniziare a costruirne una.

Anche in un periodo come questo, pensare al futuro e alla nostra pensione è conveniente!

Anzi, prima si inizia a pensare al fondo pensione, più saranno piccole le cifre da dover mettere da parte per un futuro dignitoso

Per la tua pensione non affidarti al politico di turno o alla riforma che verrà poi modificata o cancellata, pensaci tu stesso!

Che aspetti: richiedi la tua consulenza previdenziale gratuita.

Glossario:

  • TFR: Il Trattamento di Fine Rapporto (TFR) è un elemento della retribuzione del lavoratore che viene riconosciuto cumulativamente al termine del rapporto di lavoro.
  • PIP: I Pip (Piani individuali pensionistici) sono delle polizze vita con finalità previdenziali offerte dalle compagnie di assicurazione.

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